Le 5 regole per l’adozione da parte degli utenti

Nell’arco del 2009 si è fatto un gran parlare di come l’unico modo per trarre benefici tangibili dall’Enterprise 2.0 fosse raggiungere sufficienti livelli di adozione, senza i quali le iniziative si limitano ad essere scatole tecnologiche vuote, costose e dalla scarsissima utilità per l’azienda come purtroppo spesso accade nei progetti che nascono unicamente secondo un approccio IT.

Come raggiungere questa massa critica di adozione in realtà organizzative complesse, distribuite, ognuna caratterizzata da una propria storia e cultura è tuttavia ancora argomento di discussione. Recentemente Paula Thornton ha ribadito con forza su Fast Forward Blog come lo stesso concetto di guidare l’adozione sia forse già orientato in una direzione sbagliata, non abbastanza organica, non sufficientemente centrata sui bisogni delle persone seguendo i quali invece l‘adozione dovrebbe emergere quasi automaticamente.

Dov’è la verità? Probabilmente nel mezzo come avevo proposto tempo fa con il modello Top-Up, ma in attesa di essere tutti d’accordo sull’approccio

migliore mi sembra utile identificare delle linee guida per rendere il processo di adozione più efficace.

Dato che l’Enterprise 2.0 è di fatto un processo di innovazione (innanzitutto organizzativa) e di change management, possiamo prendere spunto dalla Diffusione dell’Innovazione di Everett Rogers. A fianco delle 5 famose categorie (innovatori, early adopters, early majority, late majority, laggards) in cui vengono di norma racchiusi gli utenti che si avvicinano ad una tecnologia, nel suo libro Rogers evidenzia anche 5 attributi intrinseci che determinano la facilità o difficoltà con cui le nuove soluzioni tendono ad essere adottate:

  • Vantaggio relativo: grado in cui una nuova tecnologia viene considerata superiore agli strumenti preesistenti nel soddisfare specifici bisogni. Più alto è il vantaggio relativo, più alto sarà il livello di accettazione da parte degli utenti
  • Compatibilità: grado in cui un’innovazione risulta consistente con i valori esistenti, le esperienze precedenti, le abitudini del potenziale utente. Un alto livello di compatibilità implica una più bassa resistenza all’introduzione dell’innovazione
  • Complessità: grado in cui una nuova tecnologia appare difficile da apprendere ed usare. Chiaramente più complessa è la tecnologia, più sforzo è richiesto per comprenderla ed accettarla
  • Provabilità: grado in cui l’innovazione può essere provata in modo immediato, controllato e sicuro. Più è alta la provabilità e più semplice sarà l’accettazione dell’innovazione da parte degli utenti
  • Osservabilità: grado di visibilità percepita dei risultati forniti dalla nuova tecnologia. Più ampiamente i risultati positivi sono visibili, più le persone sono portate ad interessarsi e scegliere la tecnologia

Perché questi attributi sono importanti? Perché dovrebbero essere il cuore di ogni strategia di adozione, sia essa bottom-up o top-down, al fine di mettersi nei panni degli utenti e rimuovere gli ostacoli che ogni novità incontra sul proprio cammino, massimizzando i ritorni per l’azienda.

Alcune mie riflessioni su ogni punto:

  • Valutare il vantaggio relativo nella testa degli utenti non significa compiere riflessioni razionali.  Il problema è molto più spesso di tipo psicologico e cognitivo come mostrato dall’effetto 9x di John Gourville (per cui c’è un gap di 9 volte tra ciò che gli innovatori pensano che i consumatori vogliano e ciò che essi vogliono veramente) e dall’effetto endowment di Richard Thaler (in base a cui noi tutti valutiamo di più ciò che possiediamo rispetto a ciò che appartiene ad altri). Il senso è che il valore percepito di nuova tecnologia per gli utenti dovrebbe essere almeno 9 volte superiore a quello delle tecnologie che va a sostituire. Spetta a chi progetta l’iniziativa identificare e mostrare con chiarezza tali benefici agli utenti.
  • Dobbiamo smetterla come manager, progettisti, consulenti a considerare il change management come uno sforzo che spetti unicamente agli utenti. Non sono loro a doversi adattare alla tecnologia, ma la tecnologia ad essere disegnata per inserirsi senza troppo disturbo nella vita lavorativa delle persone. Serve a tal fine un processo partecipato di co-design che includa e sia guidato dai bisogni degli utenti, strategie di transizione per portare a bordo gradualmente chi è meno avvezzo al cambiamento ed una progettazione che collochi gli strumenti sociali il più possibile nel flusso, invece che aldifuori del flusso quotidiano imponendo un lavoro addizionale alle persone. Anche qui il processo di adozione dovrebbe avere un’impostazione emergente, distribuita, centrata sugli utenti e rispettosa delle loro peculiarità.
  • La complessità della tecnologia dovrebbe essere un problema minore per l’Enterprise 2.0 dato che molte delle funzionalità e delle modalità di interazione sono ispirate al web 2.0. Non bisogna però mai abbassare la guardia e pretendere sempre dai vendor strumenti con una buona usabilità (anche sociale come mostrato da Gianandrea Giacoma), in modo da evitare di introdurre inutili resistenze e barriere di adozione tra gli utenti meno esperti. Leggere sulla scatola che la piattaforma possieda un wiki od un blog, non ci dice assolutamente niente sulla qualità della user experience che va invece testata sul campo tramite un pilot comparativo.
  • Anche la provabilità dovrebbe essere un punto forte dell’Enterprise 2.0. Innanzitutto perché molti utenti conoscono almeno per grandi linee i nuovi approcci proposti dalle aziende grazie a quanto sperimentato sul web. Se questa sensibilità di base non esiste, è bene partire dall’inizio e dedicare un adeguato effort nel formare i propri gruppi di champions. La seconda strategia per aumentare la provabilità è invece il preparare dei pilot (che durino almeno 3-6 mesi) al fine di raffinare le soluzioni in base al contesto organizzativo, alla cultura, alle aspettative riducendo al minimo paure e resistenze iniziali. Non tutti concordano però su quanto questo approccio sia significativo a scale differenti.
  • Infine l’osservabilità dovrebbe essere usata consapevolmente come arma nel lancio delle iniziative Enterprise 2.0. Innanzitutto documentandosi accuratamente e raccogliendo una quantità significativa di casi di successo vicini al proprio contesto e business da condividere prima con gli stakeholder, ma in seguito anche per ingaggiare gli utenti. L’altro approccio che consiglio vivamente è quello di pensare i pilot in modo da ottenere quick-win, ovvero piccoli, veloci, ma significativi episodi da condividere per rendere tangibili le potenzialità dell’esperimento

In che modo avete implicitamente o esplicitamente utilizzando questi attributi nei vostri progetti? In che modo l’avete fatto?

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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