Microsoft Sharepoint come piattaforma Enterprise 2.0?

L’Enterprise 2.0 a volte mi ricorda un pò il calcio. Anche per chi non è dichiaratamente un super tifoso rimangono sempre delle preferenze, delle simpatie e… come è inevitabile, anche delle antipatie di cui, diciamo la verità, Microsoft Sharepoint è spesso al centro.

Questo è esattamente ciò di cui non voglio parlarvi. Non voglio farlo perchè ritengo che il business ed il raggiungimento di obiettivi, che per quanto coinvolgano profondamente le persone, rimangono pur sempre aziendali, debbano essere guidati non dalle simpatie, ma dalla conoscenza o ancora meglio dall’esperienza diretta.

Pochi giorni fa, Thomas Vanderwal, amico ma specialmente uno dei maggiori esperti di web ed aziende al mondo, ha scritto il post SharePoint 2007: Gateway Drug to Enterprise Social Tools, da cui cito alcuni estratti particolarmente significativi (grassetto mio):

  • One common element from all of the discussions is the frustration nearly all of these organization have with their experience with Microsoft SharePoint 2007
  • SharePoint does some things rather well, but it is not a great tool (or even passable tool) for broad social interaction inside enterprise related to the focus of Enterprise 2.0
  • MOSS and SharePoint are not great at anything but the last step of formalizing the document for distribution in another workflow
  • Many who deployed SharePoint, thought it was going to be the bridge that delivered Enterprise 2.0 and a solid platform for social tools in the enterprise is summed up statement, “We went from 5 silos in our organization to hundreds in a month after deploying SharePoint”. They continue, “There is great information being shared and flowing into the system, but we don’t know it exists, nor can we easily share it, nor do much of anything with that information.”
  • The Microsoft marketing materials they focus on “collaboration and social computing”, which is more of a document management and workflow process tool that they put the more fashionable moniker on. But, it is this Microsoft marketing that engendered many organizations to the idea of the value and promise of social computing inside the firewall and Enterprise 2.0.
  • At the Enterprise 2.0 Conference this past Summer in Boston, Lockheed Martin had a session demonstrating what they had built on top of SharePoint and it was quite impressive. But when asked about costs and resources, they said: “It took about one year, 40 FTE, and 1 to 5 million U. S. dollars. Very few organizations have those type of resources with availability to take on that task.
  • What is clear out of all of this is SharePoint has value, but it is not a viable platform to be considered for when thinking of enterprise 2.0. SharePoint only is viable as a cog of a much larger implementation with higher costs.

I punti che Thomas solleva su come SharePoint non sia una buona scelta quando si vuole lanciare un’iniziativa E2.0 nascono in parte da un recente studio di AIIM che sostiene come

  • SharePoint, benchè quasi omnipresente nelle aziende intervistate, spesso viene usato a livello di gruppo o dipartimento e non di intera organizzazione
  • Nel 47% dei casi lo scenario di utilizzo è quello del semplice file sharing ed in un altro 47% i portali interni. Raramenti Sharepoint va a toccare processi di business compless, record management o digital asset management
  • Il 22% degli intervistati impiegano SharePoint all’esterno, come soluzione di extranet o di presenza online
  • 50% dei partecipanti ha detto di aver speso più di quanto atteso customizzando Sharepoint con difficoltà sostanziali nell’integrarsi con applicazioni non Microsoft

Sharepoint per l’Enterprise 2.0?

Il ragionamento di Thomas, frutto di molte conversazioni off-record con i clienti, pone l’accento sui punti seguenti:

  • Approccio gerarchico: Sharepoint funziona bene in organizzazioni con gruppi strutturati gerarchicamente, in modo verticale e su processi ben definiti, mentre molte aziende si stanno oggi orientando verso modalità orizzontali, aperte, autorganizzate più sugli interessi dei dipendenti che sull’organigramma aziendale
  • Creazione di silos: molta della frustrazione degli utenti viene dalla difficoltà di condivere facilmente l’informazione o semplicemente accorgersi in modo emergente di quanto avvena in altri gruppi. La creazione di spazi trasparenti, che attraversino i silos da parte dei dipendenti è impossibile senza le necessarie autorizzazioni
  • Chiusura come condizione di default: l’impostazione di base di Sharepoint è quella della protezione dell’informazione, non dell’apertura. Ciò non solamente provoca i silos, ma rende anche difficile collaborare e trovare i contenuti tramite i meccanismi di ricerca
  • Il marketing di Sharepoint come strumento Enterprise 2.0: benchè la storia di Sharepoint sia più legata al filesharing, al lavoro in gruppo, alla comunicazione aziendale, molti attori (anche non interni a Microsoft) promuovono lo strumento come una buona alternativa per scenari di enterprise 2.0, social networking, collaborazione aperta ed emergente, condivisione allargata a tutta l’azienda, aggregazione di contenuti generando delle aspettative difficilmente realizzabili
  • L’impegno di customizzazione: in realtà Sharepoint 2007 può essere un punto di partenza per l’Enterprise 2.0 a condizione di predisporre risorse economiche, tecniche ed accettare tempi di sviluppo decisamente importanti. Molte aziende hanno capito che esistono altre vie.

Altre critiche provenienti dalla discussione in rete (e nei commenti al post) sono:

  • Una roadmap anacronistica: i cicli di sviluppo di Sharepoint sono esageratamente lunghi e quindi inadatti alla velocità del mercato odierno. Si pensi che i requisiti della versione oggi usata dagli utenti, sono stati chiusi nel 2006, quando di Enterprise 2.0 praticamente non si parlava
  • Le caratteristiche tipicamente Enterprise 2.0 sono carenti: anche se l’aspetto tecnico non è con ogni probabilità quello più importante, Mike Gotta, pur criticando apertamente il pezzo di Thomas, sostiene che la user experience non è granchè, i forum non sono perfetti, il blogging è forse il peggiore tra tutti i prodotti Enterprise 2.0, il wiki non è per niente un wiki, l’implementazione del RSS invece che dello standard Atom è stato un grande errore, che non esiste il concetto di tagging/bookmarking e che le possibilità di social networking sono mediocri.
  • Un focus sui documenti e non sulle persone: un’osservazione interessante che emerge dal post di Mike Gotta è come il problema non sia tanto nel prodotto, ma nel paradigma centrato sui documenti che non scala, frammentando l’informazione tra mille team, gruppi e comunità impedendo una sufficiente findability

Cosa c’è oltre a Sharepoint?

Oltre al semplice prendere sviluppatori per ritoccare un pò il comportamento della soluzione, di fronte a queste limitazioni in ambito Enterprise 2.0, Thomas Vanderwal vede tre possibilità:

  • Plugin: estendere le funzionalità di Sharepoint usando altri strumenti best of the breed, già predisposti per integrarsi con la soluzione di Microsoft come Connectbeam, Confluence, Socialtext. Questa opzione è piuttosto costosa e si finisce con il pagare tanti oggetti per raggiungere un solo fine.
  • Soluzioni on-top di Sharepoint: il passo seguente è tenere Sharepoint (magari perchè per alcuni task o per ragioni “politiche” è ritenuto indispensabile), ma aggiungere sopra un layer decisamente più Enterprise 2.0 scegliendo vendors che hanno già completato l’offerta producendo suite complete in chiave sociale come Telligent e NewsGator Social Sites. Questa scelta mette a disposizione dal primo giorno una soluzione Enterprise 2.0 di buona qualità, che si integra perfettamente con il mondo Microsoft comunque ad un costo probabilmente più basso rispetto allo svilupparsi il codice in casa.
  • Rimpiazzare Sharepoint: soluzione emersa sempre più frequentemente negli ultimi anni (anche nella mia esperienza) secondo cui per ragioni di costo, caratteristica della soluzione o insoddisfazione con l’ecosistema che Sharepoint presuppone, ci si orienta verso altri vendor alla ricerca di un’unica suite come Jive Social Business Software (prima Jive Clearspace) o per combinare in prima persona tool diversi.

Alcune conclusioni

Il post di Thomas ha destato molta attenzione nella blogosfera, ricevendo commenti estremamente positivi da consulenti e clienti che condividono le stesse esperienze, contributi utili ma non allineati anche da persone vicine ai prodotti Microsoft come Laurence Liu (Telligent) ed ovviamente anche critiche forti dalla community di Sharepoint.

Alcuni, vedi Mike Gotta, hanno cercato di spostare il focus su come non sia il prodotto ad essere Enterprise 2.0, ma l’uso che se ne fa. Oltre a questa osservazione, altre figure in vista come Laurence Liu e Bill Simser hanno sostenuto che Sharepoint sia invece in grado di svolgere una serie di compiti importanti in azienda (document/records management, workflow, LOB integration) e che, data la sua complessità, non possa eccellere sotto ogni aspetto.

A mio avviso tuttavia, nessuno ha provato a sostenere Sharepoint come una soluzione ottimale per l’Enterprise 2.0. Ciò non significa che la piattaforma di Microsoft non abbia un grandissimo successo, che non sia praticamente omnipresente in ogni azienda o che non fornisca supporto ad un numero di processi e scenari estremamente importanti per il business (a cui le suite Enterprise 2.0 non sono per niente adatte a rispondere).

Il messaggio che sembra emergere è piuttosto sempre lo stesso: sarebbe bene scegliere il tool solo dopo essersi interrogati seriamente sul problema di business, sul contesto culturale e sociotecnologico in cui si opera, sulle modalità di coinvolgimento delle persone. Solo allora sarà possibile individuare in modo avveduto la soluzione tecnologica di partenza, sapendo bene a cosa si va incontro.

Come sempre la tecnologia non è in grado di cambiare l’azienda, ma può certamente facilitare o rendere molto più difficile questo processo, specialmente quando si tratta di persone, come accade nell’Enterprise 2.0.

Update

Nel suo blog Enterprise Web 2.0 su Zdnet, Dion Hinchcliffe ha recentemente pubblicato un interessante contributo che rafforza ulteriormente la valutazione espressa da Thomas Vanderwal, rinnovando inoltre il suggerimento a pensare allo strumento solamente dopo aver capito in profondità i fattori di successo del progetto.

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