L’Enterprise 2.0 sul bordo del caos

Durante gli scorsi due anni, sollecitato dal confronto da una parte con i clienti e dall’altra con la cerchia degli evangelisti dell’Enterprise 2.0, mi sono spesso chiesto quale potesse essere nel lungo termine la rilevanza di questo fenomeno sul futuro delle aziende. Si tratta di una moda passeggera, che sarà presto sostituita dall’Enterprise 3.0 e poi 4.0 o di un decisivo cambio di marcia portatore di un modo diverso di fare azienda? Ed in questo caso con quali impatti concreti sul business?

Questa domanda non ha fatto altro che acuirsi dopo l’Enterprise 2.0 Conference San Francisco ed i due panel a cui ho preso parte nell’Enterprise 2.0 Summit di Francoforte. Del resto anche qui in Italia mi è spesso sembrato di assistere più ad una guerra di religione, che ad una riflessione concreta su un potenziale percorso di evoluzione dei concetti di management, leadership, organizzazione, business.

I diversi orientamenti mi pare siano fotografati lucidamente (e con molto spirito) nell’Enterprise 2.0 Schism di Greg Lloyd, suddividendo chi guarda all’Enterprise 2.0 nelle sette seguenti:

  • I miscredenti totali per i quali l’Enterprise 2.0 non rappresenta affatto un’opportunità strategicamente significativa per l’impresa, ma solo l’ennesima moda passeggera. Aspettiamo, passerà!
  • I tecnari per cui l’Enterprise 2.0 consiste principalmente nell’introduzione all’interno dell’impresa di strumenti sociali, collaborativi, analoghi a quelli che è possibile vedere con il Web 2.0. Costruiamo gli strumenti, verranno!
  • I proletari agli occhi dei quali L’Enterprise 2.0 è innanzitutto un fenomeno fatto dalle persone, praticamente possibile anche senza tecnologia o con le tecnologie già disponibili 5-10 anni fa. Power to the people!
  • I druckeriani (da Peter Drucker) per cui il 2.0 è un numero di versione applicato non all’approccio, ma più profondamente allo stesso concetto di impresa con un livello di change management ed un impatto trasformazionale molto più significativo. Distruggiamo le gerarchie!

Capire esattamente cosa significhi Enterprise 2.0 non è tanto una questione di definizioni, quanto di obiettivi che ci si pone nei confronti dell’organizzazione.

Lo stesso McAfee ha preso parte alla discussione con il suo Enterprise 2.0 is Not THAT Big a Deal affermando di riconoscersi nell’approccio tecnario e di non vedere proprio il modo in cui gli strumenti possano indurre una mutazione genetica dell’impresa tale da giustificare una seconda versione, in particolare laddove questa comprenda un crollo delle gerarchie, uno stravolgimento dell’organigramma e dei tradizionali processi di business:

I yield to almost no one in my belief about the power and utility of ESSPs, but I just don’t think they’re going to transform the structure or purpose of the enterprise. As I wrote earlier, I don’t see E2.0’s tools, approaches, and philosophies making obsolete managers, hierarchies, org charts, and formal cross functional business processes.

Dopo decenni di investimenti sull’ottimizzazione ed il miglioramento dei processi di business, Andrew vede il ruolo principale dell’Enterprise 2.0 in uno spazio complementare in cui strumenti di nuova concezione (ESSP, ovvero Enterprise Social Software Platform) permettono per la prima volta di catturare in modo emergente il lato informale dell’organizzazione fatto di relazioni interpersonali, scambi spontanei, interazioni non codificate e non documentate ma non meno importanti ai fini della performance aziendale:

Here’s my take: ESSPs will have about as big an impact on the informal processes of the organization as large-scale commercial enterprise systems (ERP, CRM, Supply Chain, etc.) have had on the formal processes.

I believe that Enterprise 2.0 will be as big a deal for corporate performance and productivity. I believe this because I believe that the informal organization is as important as the formal one for getting work done (do you agree?) and that we have historically had lousy technologies for supporting the work of the informal organization (especially outside our immediate circle of strong ties). With the arrival of ESSPs, the tools available to the informal / emergent organization have gone from lousy to excellent, just like commercial enterprise systems advanced the formal organization’s toolkit from lousy to excellent.

Non vorrei essere tacciato di eresia, ma la mia esperienza sul campo mi fa propendere per un’idea un pò diversa di Enterprise 2.0 e decisamente più vicina all’approccio druckeriano. In particolare:

  • L’Enterprise 2.0 ha il potenziale e sta già dimostrando di essere in grado di proporre un rinnovamento estremamente profondo del management, dei modelli di business e delle modalità di lavoro. Due libri illuminanti a questo proposito sono The Future of Management di Gary Hamel e The Future of Work di Thomas Malone (incredibilmente del 2004). Questa è la riflessione a cui senior executive vogliono prendere parte
  • Cambiare il funzionamento dell’azienda non deve essere un atto di fede, ma una risposta non più rimandabile di fronte a chiari segnali di cambiamento del mercato come quelli portati alla luce dal Big Shift del Center for the Edge di Deloitte. Comprendere e dare una risposta efficace a simili stimoli decreterà la sopravvivenza o la morte di intere industry
  • Anche se molto spesso quando si parla di Enterprise 2.0 si pensa immediatamente alle comunità di pratica, ai social network o al lavoro in gruppo, un filone forse più tangibile ancora da esplorare è la socializzazione dei processi, un approccio di arricchimento (non rimozione come scritto da Andrew) dei processi tradizionali attraverso i social media per aumentare la diversità, favorire l’emergenza, incrementare reattività ed efficienza. Andando ad ottimizzare flussi già ben compresi dall’azienda, un simile approccio offre tra l’altro modelli di ROI più semplici di quanto avvenga con le community.

Insomma a me pare che gli strumenti siano si un abilitatore necessario senza il quale i cambiamenti immaginati da Peter Drucker e Douglas Engelbart anni fa non avrebbero mai visto la luce, ma anche che chiunque abbia vissuto sulla proprio pelle almeno un progetto reale abbia ben chiaro come per trarre il massimo valore sia necessario realizzare un percorso di change management spesso lungo anni. Questo change management non deve però spaventare, potendo essere configurato all’interno del processo di adozione dell’Enterprise 2.0 secondo modalità di co-design e coinvolgimento delle persone.

Inoltre forse l’aspetto ancora più suggestivo dell’Enterprise 2.0 non è tanto insito nella sua capacità di portare alla luce e capitalizzare la dimensione informale, quanto quello di contaminare formalee ed informale in un confronto dinamico che non ha mai conclusione e all’interno del quale i processi tradizionali diventano più efficienti, emergenti, diversificati, flessibili mentre il lavoro nelle community viene più velocemente riportato all’interno di chiari obiettivi di business in un incredibile sforzo di concretezza e misurabilità.

In estrema sintesi, come avevo provato a scrivere in Twitter alcuni giorni fa, la grande sfida dell’Enterprise 2.0 è a mio avviso proprio nel lavorare sul bordo della complessità organizzativa, fungendo da attrattore caotico tra processi ed emergenza.

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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