In molti degli ultimi eventi a cui ho partecipato (in particolare alla Social Media Week di Roma ed al Social Refresh dello IULM a Milano), mi sono trovato a ripetere questa semplicissima frase pronunciata da Esteban Kolsky:
“Per essere un social business, devi essere un social business”.
Quello che tante, tantissime aziende fanno una fatica terribile a capire è che non basta voler utilizzare i social media per poterlo fare efficacemente. L’esporsi in modo proficuo nelle piattaforme sociali dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso lungo, complesso, spesso faticoso, ma soprattuto consapevole e company wide.
Quando ciò non avviene inevitabilmente ci si trova in una delle condizioni seguenti:
- Il progetto parte con le migliori intenzioni ma naufraga nel silenzio più assoluto dopo poco
- L’iniziativa viene classificata come campagna. Finito il budget del quarto, il progetto si spegne
- Il brand si espone nei social media, ma non riesce ad essere autentico ed i clienti se ne accorgono rifiutandosi di interagire
- Gli utenti interagiscono con il brand che tuttavia non è pronto ad una conversazione onesta, sincera e specialmente centrata sui bisogni delle persone più che su quelle dell’azienda
In uno spazio in cui sempre più è il cliente ad avere il controllo della conversazione ed a scegliere a quali scambi destinare la propria attenzione, fare leva sui social network per amplificare un messaggi di fatto tradizionale è il modo migliore per buttare soldi. Come ha detto Graham Hill al recente Social Enterprise 2.0 di Bruxelles:
“Old Organization + New Technology = Expensive Old Organization”
Allora cosa significa essere social? A parte rileggersi la definizione, credo che lo studio Social Brands 100 Report appena pubblicato da Headstream lanci spunti interessanti, mutuati da casi reali, su quali atteggiamenti siano effettivamente percepiti come sociali da parte degli abitanti della rete:
- L’essere sociale per un brand significa avere la capacità di ingaggiare conversazioni mostrando sistematicamente, consistentemente ed a partire dall’interno dell’organizzazione tre comportamenti: apertura all’ascolto di cosa interessa veramente alle persone, atteggiamenti sinceri, autentici e trasparenti verso gli individui e abilità di creare situazioni win-win in alcuni casi mettendo le esigenze della community prima di quelle dell’azienda
- Imparare ad ascoltare è sempre il punto di partenza. Nell’ascolto all’interno degli spazi online, i 20 brand più sociali hanno raggiunto risultati migliori del 35% rispetto alle aziende che seguono
- Più che lanciare conversazioni e proporre contenuti stimolanti (con risultati comunque più alti del 29% tra i 20 brand più social), ciò che caratterizza un diverso approccio al cliente è la consistenza nel rispondere a sollecitazioni che vengono dall’esterno. Per i 20 top brand della ricerca questa capacità supera del 35% quella dei brand inseguitori e richiede uno sforzo che vada ben oltre l’impegno di breve termine tipico della campagna di marketing.
- Per creare relazioni win-win serve una rivoluzione copernicana da una visione company centrica ad una genuinamente cliente centrica. I bisogni delle persone devono diventare il fulcro di tutto ciò che l’azienda fa perchè nel lungo termine questo atteggiamento genera infinitamente più valore dei pochi euro spesi in più per rispettare o ancora meglio superare le aspettative del cliente. I brand sociali non mandano messaggi sociali, ma cercano di capire e di creare valore per le persone
- Per ingaggiare le persone è necessario rinunciare ad una parte del controllo attribuendo loro un ruolo effettivo, non solamente a parole. Inevitabilmente questa apertura fa paura ed è necessaria tanta consapevolezza per intraprenderla con un rischio calcolato. D’altra parte il brand ha sempre meno possibilità di scegliere..
- La tempestività della risposta è importante quanto la sistematicità nel dare feedback. I brand sociali sono reattivi, flessibili, ma specialmente strutturati ed oliati per attività i processi giusti in base all’evenienza. Scordatevi di poter garantire reazioni tempestive senza aver pianificato tutto con largo anticipo
- Ogni feedback anche negativo serve al miglioramento. Rispondere onestamente, significa anche riconoscere con umiltà i propri errori, chiedendo scusa e cercando di migliorare.
- Per essere un social brand serve un piano che parta dalle basi. E’ impossibile presentarsi in modo autentico, trasparente, sincero senza aver innanzitutto a disposizione un buon prodotto, un buon customer service, dei dipendenti motivati. Se non avete raggiunto queste caratteristiche, il social non fa ancora per voi, perchè non siete social dentro.
Insomma, nonostante l’hype attuale misurato dallo studio stesso che vi invito a leggere per intero, il social media marketing interpretato come nuovo canale per fare campagne difficilmente produrrà i risultati attesi ed in molti casi esporrà il brand a situazioni spiacevoli o addirittura dannose. D’altra parte, numerose altre ricerche stanno sottolineando un’esigenza crescente di connettere con chiarezza il social ai risultati di business.
Purtroppo o per fortuna il cammino da intraprendere per raggiungere questo risultato ha connotazioni più organizzative, strutturali, di miglioramento dei processi, di coinvolgimento degli individui all’interno ed all’esterno dell’azienda che di semplice utilizzo di nuovi strumenti o di comunicazione.
Essere social significa innanzitutto evolvere il proprio business e ripensare il ruolo attribuito al cliente nella generazione del valore. Se siete arrivati a leggere fin qui, il modello di maturità del Social Business potrebbe aiutarvi ad andare avanti.