Una delle domande più ricorrenti per quanto riguarda l’Enterprise 2.0 (ma lo stesso succedeva in passato per i progetti Intranet), è a chi competano responsabilità e gestione dell’iniziativa.
Se si riflette un momento sull’ampiezza dei potenziali business case che vanno dal marketing, alla collaboration interna, all’innovazione ed anche sull’immaturità del dominio, diventa subito chiaro come non esista una sola risposta o una risposta giusta in ogni contesto a questa domanda.In molti casi, la natura emergente e bottom-up dell’Enterprise 2.0 spinge le aziende a lanciare pilot dipartimentali più legati alla sensibilità dello sponsor o ad un’esigenza precisa da questo individuata, che ad una specifica visione strategica dell’organizzazione. Insomma molto spesso l’Enterprise 2.0 nasce come un fungo, dovunque ci siano il terreno e le condizioni adatte.
Pur di fronte ad una pluralità di bisogni, scenari, contesti culturali, a tre anni dalla formalizzazione del fenomeno iniziano però ad affermarsi best practice per non solo per il lancio e la coltivazione di progetti Enterprise 2.0, ma anche per quanto riguarda la governance. Un post di Dan Pontefract, membro del 2.0 Adoption Council, affronta il tema partendo dal processo diffusione dell’innovazione di Everett Rogers, mostrando quando/come le diverse componenti dell’organizzazione entrino in gioco.
Alcune indicazioni di fondo
- Se l’Enterprise 2.0 è per definizione e vocazione cross-funzionale, collaborativa, aperta e trasparente, lo stesso dovrebbe applicarsi al suo processo di governance, in particolare quando si vuole ragionare sul medio termine ad un’adozione che superi i confini del pilot dipartimentale andando ad interessare l’intera organizzazione
- La lista dei dipartimenti coinvolti dovrebbe comprendere almeno HR, IT, Corporate Communication, Business Unit che interagiscono con il cliente, Formazione, eventuale team che si occupa di Social Media più uno sponsor di peso:
I diversi dipartimenti non solo portano il proprio contributo e peso decisionale nel progetto, ma hanno la responsabilità di allineare la propria funzione aziendale allo spirito dell’Enterprise 2.0 per targettare:
- Una formazione più informale, costante e non pianificata
- La revisione delle competenze aggiungendo nuove skill legate alla condivisione della conoscenza ed alla coltivazione dei gruppi
- Meccanismi di incentivazione che finalmente non ostacolino la partecipazione
- Nuovi strumenti IT che non introducano barriere di partecipazione
- Una capacità di catturare bisogni e requisiti in modo iterativo e coinvolgendo direttamente dagli utenti
- Un aggiornamento delle linee guida e policy di comunicazione alla luce delle nuove potenzialità offerte ai dipendenti
In che modo interagiscono gli attori in questo lavoro? Assecondando il processo di adozione come indicato nel diagramma seguente:
Il E2.0 Core Team cross-funzionale incarna il ruolo dell’innovatore, la scintilla nel processo di diffusione/adozione. Il taglio cross-funzionale facilita un focus contemporaneo su tecnologia, processo e persone, abilitando il cambiamento culturale ed abbattendo paure ed inevitabili barriere politiche che nascono quando qualche decisore si sente bypassato.
Viene subito dopo il momento dei Champions, che ancora prima di partire con la diffusione dell’iniziativa possono dare un contributo centrale nel raffinare la comprensione dell’approccio da impiegare, il funzionamento del software, l’insieme iniziale dei contenuti, verificando in che modo le nuove potenzialità si traducano piuttosto in nuove modalità di lavoro ed in benefici per l’azienda.
Se fino a qui l’iniziativa era sostanzialmente sotto traccia, non formalizzata ed in fase di pilot, da qui in poi le carte si scoprono e si accendono i motori della comunicazione corporate. Ottenuto un commitment esplicito del management sulla strategia Enterprise 2.0, si codifica un processo di adozione che interessa l’intera organizzazione e che avviene non in modalità top-down, ma in modalità orizzontale e virale. In particolare i champion supportano l’E20 Core Team nella contaminazione degli early adopter, attraverso silos, barriere, dipartimenti, non solo presentando gli strumenti quanto aiutando i comuni mortali a cambiare il proprio modo di lavorare, mostrando nel contesto vantaggi personali e professionali. Una struttura distribuita e gerarchica di champions è l’unico modo sostenibile per raggiungere la massa critica e spingere l’adoption in aziende da 10.000 o 100.000 dipendenti.
Molte aziende finora si sono fermate qui. Punto. Questo è grossomodo lo stato dell’arte dell’Enterprise 2.0 mondiale, almeno secondo i membri del 2.0 Adoption Council.
Il passo successivo a cui i pionieri stanno arrivando è quello dell’assimilazione organizzativa, in cui lo stesso modo di funzionare dell’organizzazione inizia ad allinearsi con l’Enterprise 2.0 in termini di pratiche e processi tradizionali. Questo è anche il momento in cui il resto dell’azienda comincia a vedere le piattaforme collaborative semplicemente come il modo per fare il lavoro.
Il cammino ci porterà ad un futuro più o meno lontano, in cui lo stesso termine Enterprise 2.0 non perderà totalmente senso diventando completamente connaturato alla vita professionale delle persone perché le modalità e funzionalità sociali saranno integrate in tutti gli ambienti che impieghiamo all’interno ed all’esterno dell’azienda.
Data la complessità e portata del viaggio, guardare dall’interno l’Enterprise 2.0 e ragionare sull’adozione in termini di diffusione, aiuta l’azienda a concentrarsi sul necessario processo di change management e ad identificare fin dall’inizio gli interlocutori giusti, per ridurre i rischi di percorso e moltiplicare la portata delle iniziative partecipate.