Implementare l’Enterprise 2.0 – Il Framework

Dopo una breve interruzione riprendiamo il cammino di approfondimento ispirato dal libro Implementing Enterprise 2.0 di Ross Dawson andando a comporre tutte le indicazioni finora discusse all’interno di un quadro unitario costituito dal framework stesso di implementazione.

Nelle puntate precedenti abbiamo parlato di web 2.0 che entra in azienda, di strategia e benefici, di barriere di adozione, di governance.

Ci sono diversi dettagli in questo diagramma che non combaciano perfettamente con la mia esperienza sul campo, dal posizionamento e peso di alcune attività, allo stesso focus di qualche fase, ma complessivamente credo che il processo descritto sopra offra un buona visione d’insieme dei messaggi del libro ed una utile guida progettuale.

Vediamo i punti salienti:

  • Il lavoro viene suddiviso in quattro fasi: comprensione dei driver di progetto, creazione dei framework abilitanti (e per me questa etichetta non significa molto), supporto delle iniziative, coltivazione dell’adozione e del valore. La separazione in fasi consente di concentrarsi in modo specifico su un aspetto alla volta del progetto, attivando eventualmente anche competenze diverse
  • Comprensione dei driver: si tratta di una fase principalmente di assessment che consiste nel delineare le ragioni organizzative per cui si dovrebbe introdurre l’Enterprise 2.0, priorizzare gli scenari di applicazione a più alto potenziale per il business, comprendere la cultura ed i referenti interni che dovranno essere a vario titolo coinvolti, esplicitare rischi e potenziali barriere di adozione
  • Creare i framework abilitanti: comprende un lavoro che completa la strategia dell’iniziativa chiarendone la visione d’insieme e le fonti di vantaggio competitivo, il processo di gestione e governance dando compiti e responsabilità alle figure interne per poi scrivere linee guida e policy per gli utenti. Il lavoro si chiude con il business case che rappresenta un pò il blueprint complessivo dell’intero progetto da condividere e far approvare al management prima di iniziare a lavorare concretamente su persone, tecnologie e contenuti
  • Supporto delle iniziative: adottando un approccio principalmente bottom-up si va innanzitutto a cercare eventuali esperimenti in corso e nati spontaneamente dai dipendenti, si identificano ed ingaggiano i champion insieme agli sponsor più senior del progetto che con il loro peso trasmettono l’importanza dell’iniziativa al resto dell’azienda. Infine si implementa o customizza la tecnologia enterprise abilitante.
  • Coltivazione dell’adozione e del valore: predisposti tutti gli ingredienti principali, si inizia quindi a lavorare sulle persone, sulla cultura e sull’adozione lanciando i pilot o valutando i valore prodotto da quelli preesistenti, dando visibilità a quick win e storie di successo, aiutando le persone a capire i benefici derivabili dal lavorare in modo più aperto, trasparente e collaborativo, contaminando e trascinando all’interno dell’iniziativa anche tutti coloro che non erano inclusi nei pilot
  • Tutte le attività e fasi vengono inseriti all’interno di un processo iterativo di continuo ascolto dei bisogni e delle motivazioni degli utenti, senza dimenticare di rilevare e valutare il valore prodotto dalla community per l’azienda. Questa analisi fa emergere a sua volta nuovi bisogni, nuovi requisiti ed un nuovo ciclo di sviluppo della piattaforma e delle relazioni da questa supportate.

Senza pretendere di andare qui troppo in profondità a mio avviso ci sono alcuni aspetti sottovalutati dal processo delineato da Ross Dawson:

  • Le fasi mi paiono dei momenti non così autocontenuti e mutuamente esclusivi. Potrebbe essere più chiaro adottare etichette come assessment, strategia, pilot, lancio e roll-out, coltivazione
  • La nascita del pilot appare un pochino magica o quantomeno non mi è evidente nel processo in che modo ed in quale momento questa venga preparata
  • C’è pochissima enfasi sul lavoro di co-creazione di servizi, contenuti, interfacce che per me è centrale svolgere direttamente con gli utenti finali al fine di capire le loro esigenze, ma anche di renderli i veri owner del progetto ed il core della community che sta nascendo
  • Non è evidenziato il lavoro di definizione degli impatti e del collegamento tra la community ed i processi aziendali. Questa attività di dialogo tra formale ed informale è quella più importante nel far evolvere il tessuto organizzativo verso modalità partecipate riutilizzando asset esistenti e tranquillizzando gli stakeholder che di quegli asset sono responsabili
  • E’  abbastanza sottovalutata la preparazione, all’inizio del processo, di opportune metriche per la misurazione dei ritorni tangibili ed intangibili del progetto (brevemente discussa invece nei capitoli successivi)
  • Infine il community management ed il change management dovrebbero essere considerati come due tra i momenti più importanti e complessi nell’introduzione di approcci partecipativi in azienda. Anche per questi mi pare che il ruolo nel diagramma sia un pochino troppo limitato

Cosa pensate del processo descritto nel libro? Quanto vi ritrovate ed invece su cosa è nettamente carente?

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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