Nella giornata di mercoledì avrò l’onore di partecipare ad una tavola rotonda con gli amministratori delegati di alcune delle più importanti aziende ed istituzioni operanti in Italia nell’area web / digitale tra cui Google, Cisco, Banca Sella, Università Bocconi. Sulla scia dell’Agenda Digitale, tema del confronto saranno le priorità per lo sviluppo dell’economia digitale in Italia.
Nelle ultime settimane ho consultato molte risorse pubblicate sull’iniziativa lanciata da 100 personaggi illustri sul Corriere il 31 Gennaio, riflettendo in particolare sul tipo di contributo che mi sarebbe piaciuto dare dalla discussione. Di seguito alcuni pensieri.
Nata sulla falsariga dell’iniziativa Europa 2020 della Commissione Europea (100 azioni su 8 pilastri: mercato unico digitale, interoperabilità e standard, fiducia e sicurezza, internet ultraveloce, ricerca ed innovazione, miglioramento delle competenze tecnologiche, ICT per le sfide sociali, relazioni internazionali e governance), l’obiettivo dell’Agenda Digitale non è tanto quello di preparare delle proposte concrete di soluzione quanto di sollecitare le forze politiche a pensare una strategia organica di sviluppo digitale in grado di colmare il divario infrastrutturale, culturale, sociale ed economico che separa l’Italia da quasi tutti i paesi sviluppati:
- Sono 161 i paesi che si sono dotati di una strategia digitale, ma l’Italia non è tra questi
- Nell’ambito della networked economy, l’Italia è al 48° posto al mondo e il suo ritardo si sta ampliando
- Nel Regno Unito l’economia di Internet vale già oggi il 7,2% del PIL, più del settore sanitario
- In Francia nel 2010 vale il 3,7% ed è destinato a salire fino al 5,5% nel 2015
- In Italia la rete incide per il 2% del prodotto interno lordo pari a 31.6 miliardi di euro (56 Miliardi considerando anche l’indotto) con una proiezione tra il 3.3% ed il 4.5% nel 2015
- A partire dal 1999, rispetto alla media della UE a 27, la produttività per persona occupata è calata del 20% circa. Si crede che il singolo fattore più rilevante siano gli scarsi investimenti in ICT.
Trascorsi i famosi 100 giorni, qualche contributo e risultato c’è stato sia da parte del mondo politico che degli addetti ai lavori (vedi lo sviluppo dell’Open Government di Ernesto Belisario, la creazione di un soggetto unico per la governance digitale di Camisani Calzolari, l’inserimento dell’agenda digitale in Finanziaria di Carlo Alberto Carnevale Maffè, il sostegno al Cloud Computing di Flavia Marzano, lo spostamento online dei servizi erogati dai Comuni di Attilio Romita).
Il dubbio di fondo che mi rimane è però: di cosa c’è veramente bisogno per sbloccare l’enorme potenziale che l’economia digitale potrebbe esprimere in Italia? Si tratta di infrastruttura di rete o più di una cultura di business capace di sfruttare la rete come piattaforma abilitante di una nuova economia partecipativa?
A tal proposito, vi suggerisco di leggere il recente report Fattore Internet pubblicato dal Boston Consulting Group e Google. Tra le molte indicazioni contenute, ce ne sono alcune che mi hanno fatto riflettere:
- L’economia di Internet può essere considerata come uno stack in cui alla base ci sono i fattori abilitanti (infrastruttura, telecomunicazioni, apparecchiature e servizi di accesso), ma in cui una buona fetta superiore (un pò meno della metà del fatturato) è rappresentata da servizi, contenuti e community
- Per confrontare l’importanza di Internet nei vari paesi è stato misurato un indice di intensità composto da tre dimensioni: enablement (accesso in broadband), expenditure (soldi spesi in acquisti e pubblicità) ed engagement (livello di attività di consumatori ed imprese). Pur posizionandosi male in tutte le dimensioni, laddove l’Italia veramente si distingue in negativo è nella spesa (poco e-commerce e pubblicità che però stanno crescendo più velocemente che in altri paesi) e nel ruolo passivo di aziende, consumatori ed istituzioni. Insomma sull’accesso non siamo lontani dalla media europea grazie alla diffusione del mobile (siamo al primo posto in Europa con 15M di smartphone e per l’interesse verso gli acquisti in mobilità)
- L’impatto di Internet sul PIL non include una serie di effetti estremamente importanti: e-procurement, pubblicità online, maggiore efficienza delle aziende, nuovi servizi e relazione abilitati dalle rete verso i clienti. Eppure Web 2.0 e social network pervadono ormai tutte le fasi della generazione del valore e apportano benefici in ogni passaggio della filiera dal rapporto con i fornitori, alla produzione, i modelli di vendita, il marketing, comportamenti di acquisto degli utenti, servizi post vendita
Insomma volendo riportare sui nostri temi quanto emerge dallo studio:
- Ovviamente l’Italia mostra ancora un ritardo in termini di accesso alla rete in broadband, standard, investimenti, ma oltre agli aspetti più tecnologici ed infrastrutturali, l’Agenda Digitale dovrebbe sollecitare riflessioni più profonde in termini di cultura digitale, non solo degli individui ma anche e soprattuto da parte di imprenditori ed aziende
- Senza questo salto, imprese ed istituzioni non arriveranno mai a colmare il gap con gli altri partner Europei perché non sapranno come capitalizzare in termini economici e di vantaggio competitivo il migliorato accesso alla rete
- Il cambiamento di cui sto parlando è la parte alta dello stack: un nuovo ruolo da partner, non da target, per dipendenti, fornitori e clienti che consenta all’azienda di fare leva sulla collaborazione, sul coinvolgimento, sulla co-creazione e sull’intelligenza collettiva all’interno e specialmente all’esterno dei propri confini con l’obiettivo di sviluppare nuovi modelli di business e sfruttare finalmente quella dote di creatività, competenze, passioni e tradizioni che rende unico il nostro paese
- Il senso ultimo della rete non è tanto il trasmettere bit, ma l’abbattere i costi di transazione ed abilitare relazioni basate sulla passione degli individui e sulle dinamiche di community al fine di aumentare produttività e resilienza, migliorare i processi interni, rivoluzionare il marketing, spalancare le porte dell’innovazione, abbattere i costi di customer service pur facendo impennare la loyalty. Insomma il Social Business..
Guardare all’Agenda Digitale senza pensare a come aiutare le aziende ad evolvere per sfruttare fino in fondo le inedite possibilità offerte dalla rete è come concentrarsi sulle fondamenta lasciando il resto del palazzo incompiuto. Sarà forse che connettere fili è più facile ed immediato che costruire un nuovo modo di fare azienda?
Cosa ne pensate?