Fare marketing di prodotti o servizi destinati ai consumatori e farlo per un pubblico business è molto differente. Per questo, succede sistematicamente che chi opera nel B2B si chieda quanto e come i social media possano aiutare nel proprio mestiere.
Partiamo dalle differenze. Il marketer B2B opera tipicamente in un contesto in cui:
- Il ciclo di acquisto è tradizionalmente composto da una variazione delle fasi di Awareness, Research, Consideration & Comparison, Procurement
- Il processo decisionale è basato più su problemi e fatti che su gusti individuali: l’obiettivo di un decisore aziendale è identificare la soluzione più efficace ed efficiente di fronte ad una esigenza o ad un’opportunità di business. Giocare su messaggi accattivanti, ben comunicati, cool non serve a dimostrare il valore concreto e fattuale della soluzione che si intende vendere. Ad esempio, nella fase di ricerca il 42% dei buyer confronta almeno 4 vendor diversi.
- Il processo decisionale è lungo, articolato e non lineare: nel 41% dei casi, una scelta corporate viene presa dopo aver coinvolto e messo d’accordo più di 15 persone per ridurre il rischio, ma anche per avere il necessario commitment da parte dei diversi dipartimenti successivamente necessari all’implementazione del progetto. In questo percorso entrano ovviamente in gioco fattori come conoscenze personali degli interlocutori, ragioni politiche, capitalizzazione degli asset presenti, scelte strategiche a monte, immagine dell’azienda
- Ogni singola scelta ha impatti rilevanti: di fronte a decisioni che possono toccare decine di migliaia di persone, uffici dislocati in paesi diversi, molteplici linee di business, sbagliare fornitore significa potenzialmente provocare effetti devastanti sul funzionamento e sui risultati economici dell’azienda
- Pochi fornitori affidabili: per ridurre costi e rischi, l’azienda è meno portata a rivedere di frequente la propria lista di fornitori al fine di limitare la complessità di gestione dei progetti e del procurement
- Tante informazioni e tanti esperti: prima di bloccare un budget è necessario convincere non solamente interlocutori interni con obiettivi finanziari, tecnici, di business, ma anche società terze (analisti, esperti, etc) incaricate proprio di supportare l’azienda nel prendere la decisione più opportuna. Nel 70% degli acquisti più grandi di $10K, i buyer considerano almeno 4 fonti di informazione diverse.
Di fronte a questo scenario così lontano dagli acquisti legati alla moda, alla pressione sociale, a dimensioni psicologico-emozionali ed in ogni caso con impatti economici su ordini di grandezza non confrontabili con quelli di un consumatore, quanto i social media possono aiutare? In quali fasi del ciclo di acquisto social network / user generated content sono in grado di influenzare di più i buyer aziendali? Quali sono le best practice per ottenere il massimo risultato?
I social media cambiano la gestione dei lead
Il primo aspetto cruciale su cui riflettere è la stessa validità del marketing funnel e del buy cycle con la crescente diffusione dei social media.
La lead generation tradizionale ragiona su un universo teoricamente infinito di contatti e su una totale indipendenza tra questi. In altri termini la qualificazione dei lead è innanzitutto un esercizio di efficienza: l’obiettivo è raggiungere il numero più grande possibile di clienti, buttando via dalla lista quelli meno propensi ad acquistare con il minimo sforzo possibile.
Peccato che i social media siano fatti per comunicare e condividere in modo orizzontale invalidando totalmente l’ipotesi di indipendenza dei contatti. Come sostenuto recentemente da SAP ciò significa che il CRM ha finora raccolto le conversazioni tra azienda e cliente, ma queste sono il 5% del totale con un restante 95% di conversazioni inesplorate tra cliente e cliente.
Quando i clienti parlano e si scambiano esperienze tra di loro, lo scaricare il più velocemente, asetticamente, efficientemente ed in modo impersonale la relazione con un contatto non abbastanza promettente diventa il modo migliore per danneggiare il brand, distruggere la reputazione ed alienare centinaia o migliaia di altri prospect. L’efficienza estrema diventa improvvisamente inefficiente.
Il punto è che la qualificazione dei lead è già marketing, così come lo è il supporto. Tuttedue devono essere inquadrati in un piano olistico di branding, miglioramento dell’imagine, creazione della richiesta da affrontare non solo in un’ottica push, ma anche e soprattutto in modalità attrattiva e pull. Ciò significa ascoltare di più i lead, generare valore, posizionarsi come una fonte attendibile di informazione, sostenere l’interesse nel tempo. Trattare con rispetto una risorsa non più illimitata, per essere rispettato e considerato dal mercato.
Dall’inside-out all’outside-in. In una parola inbound marketing.
L’inbound marketing funziona
La seconda notizia è che fare marketing in modo nuovo, concentrandosi paradossalmente prima su come rispondere ai bisogni del cliente che sul prodotto che si intende vendere, produce risultati in modo più efficiente.
Lo Stato dell’Inbound Marketing di HubSpot fa vedere come:
- Un approccio inbound al marketing permette un costo per lead più basso del 62%
- I canali di inbound marketing costano di norma di meno
- L’inbound marketing si sta diffondendo con un passaggio dal 38% al 41% dei budget di lead generation in due anni, mentre l’outbound marketing è sceso dal 29% al 25%
- Il 54% degli intervistati conta di aumentare il budget di inbound marketing nella maggior parte dei casi grazie ai successi finora ottenuti con lo stesso approccio
- I social media stanno diventando il canale più interessante nella lead generation
- L’aumento maggiore si ha in blog e social media che passano dal 9% al 17%
- Nel B2B Linkedin e blog sembrano funzionare nel 61% e nel 55% dei casi come canali per trasformare lead in clienti. Facebook e Twitter si fermano invece a 41% e 39%
- Le aziende che bloggano sono passate dal 48% al 65% negli ultimi due anni
- Non solo l’inbound costa meno, ma genera nel B2B anche il 67% in più di lead
Conclusioni
La diffusione dei social media ed il nuovo ruolo di cui dispongono gli utenti online sta cambiando le regole del gioco anche nel B2B, con alcune differenze ma anche con tante opportunità:
- Generare con costanza contenuti di qualità (leggi che rispondano ad esigenze e domande reali del proprio pubblico) è un modo economico per posizionarsi nei motori di ricerca e farsi trovare
- I lead generati a partire da un contesto circostanziato sono di norma più caldi e qualificati di quelli che arrivano dal marketing tradizionale a freddo (si stima che solo il 10% dei lead prodotti sia oggi effettivamente buono per i sales)
- Tramite conversazioni rilevanti si lavora per costruire una relazione duratura con i potenziali clienti mantenendo il contatto finché l’interlocutore non si trova realmente nella condizione di dover acquistare
- Ricerche e whitepaper interessanti attirano l’attenzione di analisti, esperti e semplici lettori disponibili a rilanciare ed amplificare il messaggio a costo zero
- Esporre esperti e figure coinvolti sul prodotto consente di stabilire uno scambio bidirezionale con i clienti che migliora la reputation e rafforzare la credibilità dell’azienda attirando ulteriori lead
Provando a collegare i puntini, il nuovo approccio alla lead generation che sta emergendo si colloca più complessivamente in una strategia di servizio e supporto tipica del social business secondo la quale il ruolo dell’azienda non è più quello di sparare efficacemente messaggi, ma di aiutare efficacemente il cliente nel generare valore.
Come sempre, la difficoltà più grande è nel passaggio da una cultura autorefenziale ad una customer-centrica.