La correlazione tra social media e performance finanziarie

La bravissima Charlene Li (ex analyst di Forrester e co-autrice del libro The Groundswell) ha in questi giorni pubblicato uno studio sul brand engagement insieme a Wetpaint, società che si occupa di social publishing ottenuto compiendo un’analisi sia sull’ampiezza, che sulla profondità dell’esposizione dei 100 brand più forti negli Stati Uniti attraverso 11 canali sociali.

Lo studio, denominato Engagement DB prova a far luce su un tema decisamente caldo e dibattuto, ovvero sulla relazione tra utilizzo dei social media (qui si parla esclusivamente di esterno) e prestazioni finanziare. In altri termini, chi ha maggiore esperienza ed esposizione attraverso i nuovi strumenti messi a disposizione dal web 2.0, fa registrare realmente risultati più interessanti per gli azionisti?

In base all’impegno nei social media, Charlene ha suddiviso i brand in quattro categorie:

  • Mavens: brand attivi su molteplici canali, che considerano i social media chiave per la propria strategia di esposizione sul mercato ed assistiti da team dedicati con un commitment dall’alto
  • Butterflies: brand esposti su molti canali, ma in modo più superficiale e con risultati alterni
  • Selectives: brand concentrati solamente su pochi canali sui quali però si distinguino, spesso grazie all’impegno di un evangelista interno
  • Wallflowers: brand presenti in pochi canali ed in modo piuttosto superficiale, in attesa di capire se e come entrare pesantemente nei social media

I punteggi, assegnati canale per canale e poi sommati, vanno da 1 a 127 ed i primi nomi sono i seguenti:

L’aspetto più interessare è allora guardare a come si posizionano i risultati economici di questi dieci social mavens rispetto a quelli delle realtà meno attive:

Ora chiaramente i brand con una relazione più profonda, sistematica ed estesa verso i propri clienti dovrebbero trarre dei vantaggi in termini di comprensione del mercato, reattività, capacità di ascolto, livello di servizio e soddisfazione. Aldilà di questo però lo studio suggerisce anche una correlazione (attenzione non relazione causa-effetto) tra coloro che sono particolarmente presenti nel web 2.0 e le società con revenue e profitti sopra la media attraverso tutte le industry. In particolare le revenue dei Mavens sono cresciute in media negli ultimi 12 mesi di un significativo 18% contro un peggioramento medio del 6% dei brand meno esposti. Gli stessi trend permangono anche guardando ad altre misure come margini lordi e profitti netti.

Guardando più da vicino a leader come Starbucks, SAP, Dell e Toyota emergono inoltre delle best practices:

  • Qualità non solo quantità: non basta lanciare iniziative, bisogna farle crescere e coltivarle partecipando attivamente e coinvolgendo il proprio pubblico
  • Per far scalare l’engagement, coinvolgi tutta l’azienda: non basta più avere una persona (spesso nessuna..) dedicata ai social media. Bisogna ormai diffondere questa sensibilità in tutta l’azienda, distribuendo il carico, ma specialmente centuplicando le occasioni di interazione qualificata nei punti di contatto più interessanti per i clienti
  • Fare tutto potrebbe non fare al caso tuo, ma devi fare qualcosa: ogni azienda ha un contesto e degli obiettivi diversi da cui deve discendere una social media strategy specifica. Va bene partire in piccolo o lentamente, l’importante è partire ora
  • Trova la tua dimensione: coinvolgere le persone non è come lanciare una campagna e richiede un lavoro più lungo e complesso con risorse e competenze dedicate. Se questi prerequisiti non ci sono, meglio esporsi in pochi canali alla volta per poi crescere dopo i primi successi

In modo molto comprensibile, l’intero settore dei social media è in questo momento impegnato nel mostrare un legame forte tra questo genere di effort e la bottom line delle aziende. Studi come quello di Charlene Li compiono un passo in questa direzione, pur lasciando qualche dubbio sul reale significato dei dati e sulla natura di questa relazione. Di certo, è ormai assodato che sempre meno brand, anche da noi, possono ancora permettersi di chiudere gli occhi e di non esserci, a rischio di diventare tristemente famosi proprio per la velocità con cui la loro reputazione online è stata definitivamente distrutta.

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