Chi si occupa di social media, community ed enterprise 2.0 parla da tempo di trasparenza, collaborazione, partecipazione, sistemi emergenti, complessi e non deterministici. Sottilineiamo spesso come si tratti più di una questione di mindset, di cultura e di cambiamento organizzativo che di tecnologia. Sosteniamo che questo passaggio sarà spinto pesantemente dall’ingresso dei cosiddetti millenials, quei giovani abituati al multitasking, al team work, ad un approvvigionamento non lineare dell’informazione, a quello scambio democratico a cui la rete ci ha ampiamente abituato.
Ma quante aziende funzionano già così? Quante organizzazioni sono invece ancora permeate da meccanismi gerarchici, top-down, basati più sul controllo, sul comando e sul potere, che sul libero contributo, con un ruolo ancora marginale per i giovani all’interno di una cultura più vicina alla fabbrica di Taylor che a quelle dei movimenti open-source?
Nei progetti in cui sono stato coinvolto un approccio tutto sommato 2.0 all’impresa non è stato praticamente mai la norma, ma piuttosto una rara eccezione. La realtà è che il substrato culturale-organizzativo più adeguato all’introduzione dell’Enterprise 2.0 non è quasi mai il punto di partenza (nè in Italia, nè all’estero), ma al contrario deve essere costruito un passo alla volta. Proprio per questo insisto nel sottolineare come frequentemente i progetti di successo siano quelli in cui viene avviato un cammino di avvicinamento ed evoluzione del tessuto organizzativo, ancora prima dell’introduzione di strumenti informatici.
Se non possiamo negare un simile gap, che d’altronde rappresenta anche il vantaggio competitivo da trarre dall’Enterprise 2.0, dobbiamo però anche chiederci come e fino a che punto questo cambiamento culturale sia possibile. Ci sono forse contesti in cui sarebbe più sensato lasciare perdere in partenza? Quali sono i requisiti imprescindibili senza cui il cammino è troppo in salita ed è meglio attendere momenti migliori?
Ora se c’è un ambiente in cui mai e poi mai verrebbe in mente di applicare l’Enterprise 2.0, certamente è quello delle agenzie di intelligence americane. Enterprise 2.0 e CIA? Viene quasi da ridere. Non esiste veramente nulla di più lontano della CIA dai principi tipici dell’Enterprise 2.0. Eppure proprio questo è il progetto Intellipedia raccontato da Don Burke (Intellipedia Doyen) e Sean Dennehy (Intellipedia Evangelist) alla Enterprise 2.0 Conference di Boston:
“Sean and Don brief the technical and cultural changes under way at the CIA and across the Intelligence Community involving the adoption of Enterprise 2.0 tools including Intellipedia, blogs, and social tagging. These tools are being used to improve information sharing by moving information out of traditional channels and onto platforms.”
Intellipedia è ormai un ombrello che comprende innanzitutto tre differenti istanze di Mediawiki: un network di informazioni non classificate, uno di informazioni segrete ed uno di informazioni top-secret. Chiunque abbia accesso ad uno di questi network può leggere, ma solamente coloro che sono stati autorizzati possono editare le pagine. Ogni post o edit è associato ad un utente. Al wiki si aggiungono Intellink Blogs per esprimere il proprio punto di vista, Tag Connect per organizzare i contenuti stile Del.icio.us e IntelDocs per la condivisione di documenti, Gallery per le foto, IVideo per i video, Intellink Instant Messenger per la comunicazione realtime asincrona (basato su Jabber), Rss per sottoscrivere le fonti seguendo il concetto di SLATES di McAfee.
Il video che segue (27 min.) è pieno zeppo di considerazioni che suonano surreali se ascoltate dalla voce di dipendenti della CIA, ma che proprio per questo mi hanno aiutato a riflettere su dove si possa arrivare con l’Enterprise 2.0:
Non intendo qui riprendere ogni concetto, ma solamente segnalare in italiano alcuni dei messaggi più forti che emergono al fine di stimolare una riflessione su quanto questi principi possano essere applicati a qualsiasi organizzazione, per quanto complessa, gerarchica e regolamentata essa sia:
- L’Enterprise 2.0 ha senso anche e forse proprio di fronte ad un precedente approccio basato su silos. Un’area di grande potenzialità è nascosta proprio nel riuscire a mettere in comunicazione gruppi, dipartimenti e domini finora incapaci di scambiare informazione (ovviamente in un modo che abbia senso per il business e non crei inutili rischi)
- Cambiare l’organizzazione è sempre complesso e lungo, perchè c’è sempre qualcuno che può dire no, ma è anche sempre possibile. Perchè farlo? Il web 2.0 ci ha insegnato quanto sia utile permettere a chiunque di portare il proprio punto di vista, le proprie idee e creare una community che li supporti.
- All’inizio l’Enterprise 2.0 sembrava una follia nella CIA. Sembrava pazzesco, sembrava che non potesse funzionare, ma ha funzionato. La stessa discussione su ogni voce che avviene in Wikipedia (“it doesn’t work in theory, it does work in practice”) avviene naturalmente all’interno delle agenzie di intelligence, con un lavoro di fatto già collaborativo. Ad ogni modo c’è voluto tempo per riconoscere e realizzare il potenziale.
- L’Enterprise 2.0 è diversa dal Web 2.0. Tutto viene tracciato ed associato ad un autore con un nome. Per questo si crea una communiy di analisti e non di agenzie, dove puoi andare a vedere per ogni utente interessi, attività, esperienze. Non si tratta di far parlare in linea di principio i dipartimenti, ma in modo pratico le persone.
- Utilizzare i wiki semplicemente per un glossario è estremamente limitante. In Intellipedia è possibile creare pagine individuali, di gruppo, di agenzia per stimolare una maggiore conoscenza della community sulla community, in un’organizzazione complessa e globale.
- Spesso non esiste una sola verità. Ciò che deve essere ricostruito sono piuttosto i diversi punti di vista ed i documenti che li supportano al fine di stimolare il dibattito. Questo accade in fondo per buona parte dei temi affrontati in azienda. Proprio da questi temi ha senso partire con progetti collaborativi.
- Non si tratta di un problema di età, ma di mentalità. L’utente più attivo ha 79 anni e lavora nelle agenzie governative da 40 anni. Dall’altra parte persone di 23 anni hanno speso mesi per conformarsi all’organizzazione, perdendo totalmente il loro punto di vista creativo ed originale. Le persone con più esperienza sono quelle con più informazioni da condividere, non quelle da escludere.
- Bisogna sempre partire da semplici pilot (es. una lista di acronimi) e costruire velocemente sui primi piccoli successi per alimentare l’adozione.
- I leader devono metterci la faccia e dare il buon esempio in prima persona, solo così il resto dell’organizzazione prende parte al cambiamento. Il cambiamento non accade da solo.
E’ ancora più interessante come, trattandosi di un problema più culturale che tecnologico, la CIA abbia sviluppato tre Core Principles per aiutare l’introduzione di Intellipedia nel lavoro di ogni agenzia:
- Puntare all’audience più ampio possibile (apertura e transparenza di default con link ad informazioni più sensibili, quello che Andrew McAfee indica come un passaggio dai canali alle piattaforme )
- Pensare in base ai temi non all’organizzazione (ridurre la duplicazione, la frammentazione e focalizzarsi sulla trovabilità dell’informazione, spingendo intrinsecamente gruppi diversi a confrontarsi e lavorare insieme)
- Rimpiazzare i processi di business che già esistono, non pretendere di creane di nuovi (lavorare nel flusso e non fuori dal flusso è un pattern fondamentale di adozione perchè consente di facilitare la vita alle persone, aiutandole a compiere lo stesso lavoro all’interno di una piattaforma e fuori dalle email). Si può quindi rispondere alla frequente osservazione “non ho tempo”, mostrando ai dipendenti come lavorare meglio, non di più.
Ora mi domando: se l’hanno fatto quelli della CIA, cosa dovrebbe impedirci di farlo in altre realtà? In che modo la vostra organizzazione è più lontana dai principi dell’Enterprise 2.0 delle agenzie di intelligence americane? Mi piacerebbe ascoltare il vostro parere.