Noto con piacere che l’interesse sull’Enterprise 2.0 si sta velocemente diffondendo anche all’interno delle università (qualche volta più per merito di studenti curiosi e competenti sulle nuove tecnologie, che di docenti illuminati). E’ così che ricevo sempre più spesso tesi sul tema dei social media in azienda, alcune veramente di buona qualità come quella di Vincenzo Cammarata, su cui tornerò in un post dedicato.
In una direzione simile si muove il lavoro di Domenico Nardone, laureando del Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione d’Impresa presso la Sapienza, seguito dal buon prof. Stefano Epifani (titolare della cattedra di Comunicazione Interattiva). Nel lavoro di tesi ancora non ultimato, Domenico ripercorre la storia del rapporto tra gestione della conoscenza/e-learning e tecnologie abilitanti, partendo dai primi esempi di LMS fino ad arrivare alle emergenti pratiche di social networking (compresa l’Enterprise 2.0 ed i suoi impatti su competitività ed efficienza).
Tempo fa, Domenico mi ha posto alcune domande proprio sull’Enterprise 2.0 e riporto volentieri qui sotto le mie risposte qualora qualcuno volesse intervenire nella discussione:
Che cosa significa per te Enterprise 2.0?
Tra le molteplici definizioni di Enterprise 2.0, quella di Andrew McAfee mi sembra la più matura ed adatta a racchiudere compiutamente tutti gli aspetti dell’ingresso del web 2.0 all’interno delle aziende. Nel paper seminale intitolato “Enterprise 2.0 The Dawn of Emergent Collaboration”, McAfee spiega l’Enterprise 2.0 come “L’uso in modalità emergente di piattaforme di social software all’interno delle aziende o tra le aziende ed i propri partner e clienti”. Questa definizione ha il merito di circoscrivere il fenomeno, dando evidenza di alcuni elementi distintivi come l’assenza di workflow o strutture imposte a priori, la flessibilità, una certa irriverenza verso le gerarchie ed ovviamente una produzione democratica dei contenuti. L’introduzione di questi ingredienti all’interno di tecnologie di nuova generazione consente un maggiore contatto, confronto e condivisione spesso non previsti nel tradizionale software di livello enterprise presente nelle aziende.
Concretamente quali sono i benefici che professionisti e società possono ottenere da questo fenomeno?
Esistono due ragioni principali per cui sempre più aziende italiane ed internazionali stanno pianificando e lanciando iniziative Enterprise 2.0: il guadagno di efficienza e la spinta competitiva. In un mercato sempre più globale e veloce, ridurre i costi e capitalizzare la conoscenza disponibile in azienda diventa assolutamente prioritario. Il primo obiettivo dell’Enterprise 2.0 è allora raggiungere una circolazione ed una gestione più efficiente di informazione e conoscenza utilizzando innanzitutto wiki e feed rss. Il secondo è continuare ad innovare, questione sentita ancora di più nelle grandi aziende. Come mostrato ad esempio nel libro Wikinomics ed in modo concreto da strumenti quali Innocentive o dai molteplici esperimenti portati avanti da IBM, lo stesso concetto di innovazione viene stravolto dal web 2.0. Le aziende non sono più in grado di stare al passo con l’evoluzione tecnologica e per rimanere competitive aprono i propri confini stabilendo una conversazione onesta e proficua con clienti e partner. Questo sforzo di co-creazione ed innovazione diffusa richiede però un cambiamento profondo della cultura e dei modelli di gestione delle risorse. Dipendenti, partner e clienti diventano i veri motori dell’innovazione e l’azienda assume il ruolo di facilitatore e propositore di esperienze legate ai prodotti.
Al di là dell’impatto sulle tecnologie abilitanti come pensi debba comportarsi a livello organizzativo e di gestione dei processi, un’organizzazione che sente la necessità di entrare in un’ottica innovativa di Enterprise?
Così come per il web 2.0, anche nell’Enterprise 2.0 è fondamentale iniziare a sporcarsi le mani e lanciare piccoli esperimenti che consentano di apprendere gradualmente i nuovi linguaggi e le nuove dinamiche che stanno entrando in azienda. Aprirsi verso l’esterno significa al contempo saper ascoltare e cambiare all’interno, ad esempio reagendo più velocemente ai mutamenti del mercato, ammettendo e recuperando gli errori che inevitabilmente si compiono ed in ultima analisi stimolando una maggiore autonomia da parte dei dipendenti. I dipendenti possono essere agenti del cambiamento, purché l’azienda ponga fiducia in loro, rendendoli parte di un progetto comune e supportandoli con la tecnologia. Superata una fase di esplorazione preliminare tramite pilot, è opportuno pianificare le successive azioni inquadrandole all’interno di una chiara strategia di adozione dei social media che valuti il contesto culturale e tecnologico, stabilisca obiettivi e metriche, fissi ragionevolmente aspettative ed impegno richiesto per raggiungere l’adozione. Infine, dare voce ai propri dipendenti e clienti non significa accettare qualsivoglia comportamento. Un elemento che gioca un ruolo centrale in qualunque tool di livello enterprise è la preparazione e condivisione di opportune policy che mettano in chiaro cosa è lecito e cosa non lo è.
Uno dei presupposti di questo fenomeno è l’abbandono delle vecchie e rigide gerarchie organizzative e, allo stesso tempo, la sempre crescente importanza delle relazioni informali tra le persone. Nella tua esperienza di consulente, i soggetti più resistenti a questi cambiamenti si trovano nel management o nei dipendenti? Hai trovato differenze di impatto tra i cosidetti “nativi digitali” e persone cresciute con vecchi “schemi mentali”?
Se come abbiamo detto l’aspetto più innovativo dell’Enterprise 2.0 è insito nel cambiamento di paradigma piuttosto che nella tecnologia, è inevitabile attendersi diffidenze ed una certa resistenza iniziale da parte del management (in particolare il middle management). Per ottenere dei benefici concreti è assolutamente necessario comprendere a fondo la portata del fenomeno e sostenerlo fattivamente durante il suo ingresso nell’azienda. L’Enterprise 2.0 non è cioè un pacchetto software che l’IT può acquistare e deployare, ma piuttosto un nuovo modo di pensare, lavorare e gestire il potere. I manager devono imparare a rinunciare a parte del controllo che un tempo esercitavamo sui propri sottoposti. Questa fiducia viene ripagata in termini di passione, di capacità d’innovazione e flessibilità ormai indispensabili per rispondere alle sfide del mercato. L’età e la dimestichezza con le nuove tecnologie sono certamente un fattore abilitante in questa prima fase di diffusione dell’Enterprise 2.0. I nativi digitali inizieranno presto a pretendere, all’interno dell’ambiente di lavoro, gli stessi strumenti che possono utilizzare nel loro tempo libero. Tuttavia, come è già accaduto con la mail o la telefonia cellulare, le novità diventeranno presto commodities accessibili con facilità da parte di tutti i dipendenti. Il fattore differenziante rimarrà invece, ancora una volta, la predisposizione di una mentalità della collaborazione.
Aldilà delle scelte aziendali e delle comprensibili difficoltà, c’è comunque da ricordare gli innumerevoli casi di dipendenti che, in modo autonomo rispetto al top management o ai gruppi di IT, lanciano piccoli progetti Enterprise 2.0 per rispondere velocemente alle esigenze del lavoro quotidiano. Proprio l’ampia disponibilità di piattaforme gratuite e di software proposti come servizio sono alcuni dei fattori che stanno convincendo sempre più realtà a lanciarsi nell’Enterprise 2.0. Insomma la paura di una irrecuperabile perdita di controllo sembra essere un ottimo stimolo verso l’azione.