I ponti del Social Business

Non è un mistero che i consulenti siano sempre alla ricerca di aziende da aiutare nel passaggio al Social Business. Dall’altra parte e’  anche vero che molti practitioner nelle aziende clienti facciano ancora fatica a comprendere il mercato perché totalmente focalizzati sulle proprie attività quotidiane, sulle specificità dell’impresa in cui lavorano, ma anche perché esistono di norma pochi colleghi con cui confrontarsi.

Una domanda antica come la nascita dell’Enterprise 2.0 riguarda la mappa del cambiamento: in quali aziende, con quali figure al proprio interno, con quale seniority, con quale responsabilità ed in quali dipartimenti tutto questo sta avvenendo?

Un’area più recente ma forse ancora più rilevante dal punto di vista strategico è la convergenza tra empowerment sui dipendenti ed engagement dei clienti. Alcuni vendor con cui mi sono confrontato recentemente hanno sottolineato come questo matrimonio sia già in corso anche in Italia, ma è davvero così? Quante aziende hanno organizzativamente, tecnologicamente e commercialmente accorpato tutte le iniziative social dentro e fuori dal firewall?

Lungi dal dare un quadro esaustivo visti il limitato numero di rispondenti (64), una survey del Social Business Council di poco prima dell’estate offre risposte su cui riflettere mostrando come succede abbastanza di rado la differenza tra coloro che si occupano di internal collaboration e di social media verso i clienti. Di seguito gli spunti salienti.

  • Il numero di dipendenti conta in modo diverso per social media ed internal collaboration. La internal collaboration riguarda principalmente le grandi (grandissime per l’Italia) aziende dato che il 70% delle risposte sul social business per i dipendenti provengono da realtà con almeno 10K persone. Diverso è il caso dei social media verso i clienti in le aziende con meno di 10K sembrano le più attive, seppur di poco:

  • Questo spostamento in avanti della internal collaboration è ancora più forte se si considera il fatturato, con l’80% delle risposte da azienda con più di $1B in revenue. Di nuovo, nell’uso dei social media il blocco sotto $1B pesa all’incirca allo stesso modo del gruppo tra $1B e $100B:

  • Ambedue le facce del Social Business sono ancora scarsamente rappresentate nei board, indici della bassa considerazione strategica che la disciplina suscita. Mentre però il Social Business esterno è principalmente guidato da manager e senior manager, nel caso dell’interno il ruolo del leone lo fanno i singoli consulenti. Quest’ultimo dato fa davvero paura, considerato che l’internal collaboration dovrebbe occuparsi di iniziative di cambiamento di lungo o lunghissimo termine:

 

  • Social Business interno ed esterno hanno seniority non allineate. Per quanto spesso non dipendenti, la internal collaboration è nata storicamente prima e riconosce l’esperienza da 2 a 10 anni con stipendi abbastanza elevati (tra $100-150K). Chi si occupa di social media lo fa in maggioranza da 1-3 anni con salari più bassi (tra i $20K ed i $100K):

  • Anche gli owner non coincidono ma con qualche sorpresa. Per il Social Business interno le porte di ingresso sono l’IT, L’HR, il Knowledge Management ed in misura minore l’Innovazione. Per il Social Business esterno il Marketing gioca lo stesso ruolo chiave dell’IT seguito da Innovazione, Strategia e Vendite. A sopresa però la comunicazione esterna si sta ritagliando un ruolo di player sia per l’interno che per l’esterno.Premesso che il Social Business non possa e non debba essere il terreno di caccia di un solo dipartimento, il passaggio verso un’ottica decentralizzata e verso la nascita di steering committee multidisciplinari potrebbe essere facilitato proprio dalla Comunicazione Interna / Esterna.

Conclusioni

Cosa dicono questi dati alle aziende, tipicamente grandi, che stanno industrializzando il Social Business come lega strategica per competere sul mercato nei prossimi 10 anni?

Il primo lampante messaggio è l’enorme frattura che ancora spacca interno ed esterno. Ricondurre tutti i progetti social all’interno di un quadro unitario ed integrato, molto più che un problema del social, è una questione organizzativa e strategica. I silos  sono sempre stati una presenza più o meno opprimente a seconda della industry e della cultura dell’azienda. I CEO avveduti stanno però iniziando a superare gli organigrammi formalmente corretti ed operativamente inefficienti, tramite strutture a matrice, board multi-dipartimentali o nuovi executive incaricati di riorientare i processi dall’esterno verso l’interno e guardando con molta più umiltà al cliente.

Scendendo di un livello rispetto alla strategia di business, concretamente questo matrimonio per il social ancora non è avvenuto a causa dei diversi stakeholder, dei diversi background dei manager coinvolti, dei diversi strumenti utilizzati, delle diverse culture esistenti fuori e dentro l’azienda.

Molto meno chiaro nella mia esperienza è come, anche senza grandi stravolgimenti, sia possibile iniziare fin da subito a far incontrare Comunicazione, HR, Innovazione, Vendite, Prodotto e IT. Più che dal digital, la collaborazione parte spesso dall’annusarsi, dal guardarsi in faccia e dal mettere sul tavolo i propri problemi di business, scoprendo come la soluzione sia un incastro di agende più che un progetto solitario.

Per questo ogni iniziativa di Social Business di successo parte inevitabilmente da un ponte.

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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