Dalla Gestione della Crisi al Miglioramento Continuo

Che fornire al cliente un servizio poco accurato comporti rilevanti impatti economici e rappresenti una enorme opportunità persa in termini di visibilità e loyalty è ormai assodato. Anche all’azienda più attenta, capita tuttavia di sbagliare, talvolta in modo eclatante e dannoso per la percezione del brand come dimostrato da esempi ormai famosi quali Dell, Nestlè, United Air Lines, HP. Proprio questa paura di sbagliare fragorosamente in un ambiente globale, trasparente, popoloso e senza rete di salvezza costituisce il primo deterrente che molte organizzazioni sono chiamate ad affrontare nell’affacciarsi verso un utilizzo di business dei social media.

E’ allora lecito chiedersi: cosa funziona davvero nei casi in cui la crisi esplode all’interno dei social network? Come è possibile sedare reazioni scomposte da parte dei clienti prima che il danno venga generato? La crisi può avere anche una valenza strategica positiva?

Se, aldilà di alcune indicazioni o esperienze episodiche, finora questo tema era lasciato in larga misura alla sensibilità ed alla prontezza della singola azienda, un recente articolo su MIT Sloan Management Review da adesso visibilità ad un corpo di ricerche che fornisce diversi spunti sia sulle modalità con cui i clienti danno voce online alle proprie frustrazioni, sia sulle risposte più efficaci da parte dell’azienda in base alla tipologia di utente e situazione complessiva. Vi invito a leggere l’articolo originale (in particolare la matrice di sintesi), ma riassumo qui alcuni i risultati principali:

  • In quali casi i clienti tentano di vendicarsi sul brand online? E’ molto interessante notare come il 96% delle lamentele online analizzate mostrino un trend comune: la doppia deviazione. I clienti si imbufaliscono non tanto perchè il prodotto o servizio ha presentato un problema, ma perchè, quando questo è successo, il customer care o l’individuo che in quel momento rappresentava l’azienda non si è dimostrato disponibile nel riconoscere ed affrontare il disservizio tradendo di fatto due volte le aspettative del cliente e facendogli concludere semplicemente di non contare nulla per l’azienda. In altri termini, coloro che vi criticano online, almeno nella maggior parte dei casi, non sono pazzi che odiano il brand, ma clienti frustrati che, posti di fronte ad una situazione per loro dannosa, non trovano un’azienda disposta ad ascoltarli e rimediare.
  • Da quale aspettative partono i clienti che attaccano il brand pubblicamente? Coloro che spendono tempo ed energie per manifestare il proprio disappunto online non si sentono semplicemente insoddisfatti, ma al contrario considerano tradito l’accordo implicito sul servizio minimo che l’azienda è tenuta a fornire ai propri clienti. In particolare, il cliente ritiene che l’azienda sia moralmente obbligata a risolvere i problemi che essa stessa ha causato. Quando ciò non accade, i clienti si sentono automaticamente giustificati ad intraprendere qualunque azione che possa fornire loro una rivalsa, ristabilendo un equilibrio cliente-azienda tramite i social media:
  • Per quanto tempo i clienti rimangono in guerra contro il brand? Trattandosi di tradimento (doppio) delle aspettative, ciò che il cliente prova è un sentimento forte come la rabbia, più che una semplice delusione o insoddisfazione. Gli studi mettono in evidenza come questo sentimento rimanga intenso per circa 4 settimane dal post di lamentela. A seguito dell’azione online, cala il bisogno di vendetta mentre aumenta la voglia di dimenticare l’accaduto. In ogni caso il cliente non dimentica facilmente e sono proprio gli individui più affezionati quelli che in caso di doppia deviazione divengono i nemici più determinati. Percependo la propria fiducia tradita da un brand a cui hanno dato molto, questi clienti rimangono infatti più a lungo e più fortemente arrabbiati, almeno in mancanza di un’azione di riparazione come mostrato dal diagramma che segue:

  • E’ possibile un recupero del cliente dopo che si è lamentato online? Anche se il 27% delle aziende intervistate ha proposto una forma di compensazione per il disservizio subito, si è visto che la proposta ha un qualche effetto solamente se intrapresa prima dello scadere delle 4 settimane successive all’evento. Attenzione però, l’effetto principale ottenibile attraverso simili azioni di recupero non è tanto il mantenimento del cliente, quanto la riduzione della voglia di vendetta e quindi di danneggiare l’azienda online.
  • Qual è la strategia migliore per rispondere ad una critica online? La chiave è innanzitutto avere un processo di gestione della crisi e di recupero che tenga in conto tre passi: inquadrare il tipo di cliente in base alla relazione avuto fin qui (lunga, più o meno profittevole, etc), agire tempestivamente (massimo entro le 4 settimane), scegliere con cura il contenuto della risposta. I clienti più affezionati sono quelli più disponibili ad accettare le scuse (se genuine, sentite e sincere) dell’azienda, perché in fin dei conti, ciò che vogliono è più una dimostrazione di attenzione e rispetto che una compensazione economica. Per i clienti meno fedeli al contrario le possibilità di recupero sono molto più basse e l’unica leva è quella finanziaria.
  • Come evitare in prima istanza post negativi? Nella realtà,l’azienda ha quindi bisogno di un meccanismo preventivo di triage per capire fino a quale soglia ha senso economico andare in contro al cliente e quale cliente privilegiare (dando precedenza al cliente di maggiore valore, più affezionato e che ha subito il disservizio più impattante) tramite un’azione accurata e reattiva. L’azione deve anticipare e prevenire il post online, fornendo subito una spiegazione credibile, assumendosi la responsabilità dell’accaduto e sgombrando il campo da conclusioni addirittura peggiori, sistematicamente avanzate dai clienti in mancanza di informazioni ufficiali.
  • Conta il processo. Aldilà del servizio negativo che il cliente possa aver subito, ciò che influenza la reazione è la correttezza del processo seguito. Se il risultato è stato pessimo, ma il cliente vede che l’azienda ha fatto il massimo ed ha tentato di prevenire l’evenienza (pur non essendo stata capace di gestirla nel caso specifico), il bisogno di compensazione diminuisce sensibilmente

Capire meglio le aspettative ed in comportamenti online ci permette di focalizzare risorse ed impegno, mitigando il rischio proveniente dai social media e massimizzando la soddisfazione dei propri clienti. Ciò che l’articolo di Thomas Tripp non prova neanche ad avanzare è però, a mio avviso, l’opportunità più strategica, sistematica ed organizzativa che può essere innescata da una situazione di crisi. Dell, citata all’inizio, è ad esempio un caso da manuale di azienda che da una crisi (Dell Hell) ha disegnato una strategia di utilizzo a tutto tondo dei social media per migliorare il servizio (i forums), co-progettare nuovi prodotti (Ideastorm), parlare più onestamente e trasparentemente con il mercato (i blog), incrementare le vendite tramite Twitter (Dell Outlet).

Insomma, che la crisi, i piccoli incidenti quotidiani e l’errore nel servizio, debbano non più essere considerati come eventualità isolate o semplici incendi da spegnere, ma più organicamente come tasselli in un percorso di evoluzione continua di processi, prassi, tecnologia? In un’ottica di Social business non solo è necessario un processo di gestione della crisi, ma questo flusso diventa parte di un lavoro più duraturo di miglioramento costante a cui partecipa l’intera organizzazione (e non solo le PR) e che è guidato in misura primaria dall’utente finale.

Passando dalla comunicazione ad una relazione profonda, paritetica, di lungo respiro e mutuo vantaggio tra azienda e cliente, non solamente si riducono i rischi per il brand, ma si ottiene anche una migliore comprensione delle aspettative del proprio pubblico dando a questo un ruolo di protagonista nell’evoluzione della strategia, del servizio e del prodotto ed in ultima analisi del proprio business.

Emanuele Quintarelli

Entrepreneur and Org Emergineer at Cocoon Projects | Associate Partner at Peoplerise | LSP and Holacracy Facilitator

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