Come ben sappiamo, pur potendo teoricamente sbloccare un valore economicamente molto significativo, il Social Business presuppone un percorso di cambiamento non lineare e neanche indolore che, ciononostante, si sta rivelando cruciale per la stessa sopravvivenza di sempre più organizzazioni.
Di fronte alla lentezza della trasformazione mi pare si alternano in rete e tra gli esperti due tendenze ugualmente errate e pericolose: una percezione (bisogna dire in fase calante) che vede qualsiasi fenomeno attraverso la lente del social ed una opposta secondo cui il social è una pestilenza dalla quale liberarsi al più presto e definitivamente con tutti i mezzi a disposizione.
Superato il picco delle aspettative gonfiate, è invece il tempo di guardare con distacco all’impatto che le reti informali stanno avendo su organizzazioni e mercati partendo dai numeri ormai disponibili copiosamente per esempio nel recente studio pubblicato da Jane McConnell. Per ragioni di spazio mi limiterò a sottolineare solo i messaggi più interessanti per la Social Enterprise mentre vi rimando al Digital Workplace Trends Report 2013 che potete acquistare online.
Si scopre così che se ben il 73% dei partecipanti si sta muovendo verso il digital workplace ed il 93% di loro sta sperimentando in qualche forma l’introduzione di social network tra i propri dipendenti, il gap tra deployment della tecnologia ed uso effettivo della stessa si attesta ancora al 40% se non per le tecnologie più vecchie e meno impattanti sulla cultura:
Dov’è nascosta la differenza? Qual è la chiave per introdurre modalità di lavoro più vicine alle esigenze attuali di individui e mercato?
Le 170 pagine di report danno parecchi spunti in tal senso grazie alla distinzione tra comportamenti degli early adopters e della majority:
- Diffusione delle reti informali a beneficio dei dipendenti: gli early adopters hanno introdotto capability di social networking su tutti i dipendenti 2 volte più (69% vs 31%) delle aziende più lente con una proattività da 2 a 5 volte maggiore verso almeno parte dei dipendenti anche rispetto a knowledge sharing e trovare esperti / esperienze, co-creazione, commenti e rating, creazione di community, condivisione di foto e video, activity stream, crowdsourcing interno
- Un management attivo non solo a parole: oltre a dichiarandosi genericamente a favore, il senior management degli early adopters è 3 volte più attivo come modello e due volte come motore delle iniziative
- Investimenti già fatti sul mobile: l’accesso in mobilità è l’investimento prioritario di 2013 e 2014 (69%) con gli early adopters che hanno già speso 2 volte quanto la majority con un occhio attento al BYOD (bring your own device)
- Governance più sviluppata: la definizione di procedure per il decision making, policy e linee guida è dalle 5 alle 18 volte più avanzata negli early adopters pur con enormi margini di miglioramento anche per le aziende più mature
- La trasformazione dei processi è iniziata: il 22% degli early adopters dichiara di avere molti esempi di come la collaboration sta modificando significativamente il modo di lavorare ed i processi contro un 3% di tutti gli altri. Il 60% dei rispondenti mostra però i primi passi in questa direzione.
- Misurare il ritorno di business, non solo la quantità di partecipazione: pur continuando a misurare il livello di attività degli utenti, gli early adopters considerano 2.5 volte in più il valore di business dell’iniziativa rispetto a chi è indietro
- Una cultura basata su condivisione, fiducia e libera espressione. Non è possibile dire se viene prima la cultura o la collaborazione efficace, ma sicuramente le due vanno a braccetto con gli early adopters che vantano un ambiente con più fiducia, condivisione, possibilità di dare opinioni, coinvolgimento delle persone da parte del management
- Partire dal basso oltre che dall’alto. Coinvolgere gli stakeholder, un pò di benchmarking, acquistare qualche reports sono tutti passi condivisibili ed importanti, ma gli early adopters mostrano come la collaboration richieda contemporaneamente uno sforzo dall’alto e dal basso. E’ per questo che viene posta enfasi sul ruolo dei champion interni e sul comportamento dei colleghi oltre che sull’esempio dei leader e sulle campagne di comunicazione interna. Training, eventi tradizionali, inclusione negli obiettivi individuali appaiono invece in fondo alla lista insieme alla gamification che forse è ancora poco diffusa (ed è più diffusa tra gli early adopters)
- Community management, community management, community management. Se il community manager è ancora raramente un nuovo ruolo full-time, oltre il 60% degli early adopters ne ha più o meno ufficiale contro il 28% degli altri.
Nonostante questi sprazzi di sereno, rimangono decine di ambiti di miglioramento a cui anche gli stessi early adopters stanno cercando porre attenzione. Rimando al report per i dettagli ma le aree che più mi colpiscono sono:
- Passare dall’introduzione all’adozione: anche negli early adopters solo il 25% delle aziende riscontra un utilizzo del social networking da parte di più di 1/4 dei dipendenti e solo il 6% da parte di almeno la metà di loro con valori non troppo diversi rispetto a tutte le altre aziende. L’esplosione di anche 20 punti in un anno nell’introduzione delle funzionalità a supporto del contributo orizzontale e dal basso non si è ancora tradotta in soddisfazione sui livelli di adozione che rimane complessivamente al 20-25%. Questo primo punto andrebbe segnato in rosso. Coinvolgimento, adozione, cambiamento non si ottengono spennellando un pò di creatività e comunicazione on top al resto. Al contrario sono il cuore e la filosofia di qualsiasi progetto di collaboration dal giorno meno 1. Pena i risultati che dopo tanti anni continuiamo a vedere ed un danno di opportunità / risultato per l’azienda
- C’è ancora un grande potenziale irrealizzato: il livello di interesse verso il 2.0 rimane decisamente alto con circa un 25-30% delle aziende che ancora non ha compiuto il passo, ma che è in procinto di farlo (“sto pianificando o considerando l’introduzione”). Sfruttiamo questo interesse per cambiare il mondo!
- Utilizzo finalmente operativo del mobile non solamente per accedere alle news, alla mail ed ai calendari ma soprattutto alle applicazioni necessarie al lavoro (oggi limitato al 20% delle aziende) e da parte di tutti i dipendenti (vero solo per il 27% degli intervistati). Siamo tutti sempre più in movimento, fuori dagli orari dell’ufficio, fuori dai luoghi canonicamente deputati al lavoro. Il mobile non è più opzionale.
- La governance non ha fatto grandi progressi neanche negli early adopters. I numeri sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto al 2011 con la stragrande maggioranza delle aziende ancora al lavoro su questo tema. La governance, più che come strumento di controllo, è una chiara leva per focalizzare management ed organizzazione stanziando le risorse (non solo economiche) indispensabili a guidare e continuare a far crescere il progetto nel tempo nel rispetto.
- Rendere l’esperienza integrata e consistente. Lo sviluppo poco lineare e molto rapido della collaboration ha aumentato la frammentazione tra molteplici contesti, applicazioni, credenziali di accesso rispetto ad un anno fa sia in termini di esperienza che di applicazioni diverse con le quali fare i conti. Gli early adopters guidano il gruppo con un valore di diverse volte più elevato, ma rimane tanto lavoro da fare per mettere al centro i reali bisogni degli utenti sul medio termine più che quelli dell’IT nel brevissimo termine.
- Allocazione dei budget troppo sbilanciata. Pur avendo in molti capito che la tecnologia non basta, il 64% del budget è speso sull’implementazione delle piattaforme lasciando un povero 14% su formazione e cambiamento. I valori fanno ancora più paura sulla grandissima azienda (>80K dipendenti) dove si arriva ad un 81% vs 11%. Il budget è un ottimo indicatore della maturità dell’organizzazione e degli owner dell’iniziativa. Senza le risorse non ci sarà mai adozione e quindi valore di business.
- Community management ancora poco diffuso. In particolare il budget va troppo poco in coltivazione con metà aziende che non ne fanno! Una pessima conferma di quanto rilevato in passato.
- La resistenza ha provenienza diversa in base alla maturità. Per chi parte ora il più grande scoglio da misurare è portare a bordo il top management (80%). Per gli early adopters questa fase è passata ed ora tocca al middle management che comunque rappresenta un ostacolo, insieme agli operativi, verso il cambiamento. Ad ogni modo il cambiamento è fatto di persone e con le persone. E’ bene pensarci dall’inizio come strategia di progetto.
Conclusioni
Il social business è un progetto di cambiamento diverso dai mille altri da cui i dipendenti sono stati finora bersagliati poiché si tratta della prima volta in cui è il loro ruolo ad essere messo in discussione con un peso maggiore nel futuro dell’impresa.
Non si può e non si deve sottostimare la portata epocale di questo cambiamento che va gestito con pazienza, continuità e logiche differenti rispetto a quanto i dipartimenti Comunicazione Interna, HR, IT e le funzioni di business hanno storicamente fatto. Ecco la spiegazione del seguente diagramma:
Benché molte organizzazioni abbiano registrato successi, il quadro complessivo è piuttosto deludente e fa capire come il 50% di loro sia ancora a metà strada. Una strada che l’esperienza ci insegna essere faticosa e lunga.
Per chi si aspettava una rivoluzione capace di travolgere il funzionamento dell’impresa in pochi mesi sarà allora forse una delusione, ma per tutti gli altri, le lezioni apprese dai pionieri consentono di evitare scogli pericolosi ed attrezzarsi opportunamente per la traversata.
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